Una
malattia che colpisce solo gli uomini
I
RISVOLTI GENETICI DELL'EMOFILIA
In un
individuo sano l'uscita del sangue dai capillari presenti nei tessuti
si arresta rapidamente per un processo naturale chiamato
'coagulazione'. Non è così per chi soffre di emofilia, malattia
rara di origine genetica che colpisce quasi esclusivamente gli
individui di sesso maschile, con il rischio di frequenti e pericolose
emorragie, per una lesione o un trauma, ma anche spontaneamente.
Oggi
sappiamo per certo che in un soggetto emofilico la difficoltà di
coagulazione dipende dalla mancanza o carenza nel plasma sanguigno di
due proteine prodotte dal fegato: il fattore VIII e il fattore IX.
Quella
chiamata A è la forma più comune di emofilia, dovuta a una carenza
del fattore di coagulazione VIII (un caso ogni 10 mila individui
maschi), mentre quella chiamata B (detta anche malattia di Christmas
dal nome della famiglia inglese dove è stata diagnosticata per la
prima volta nel 1949) dipende dalla carenza del fattore IX (un caso
ogni 30 mila individui maschi).
In entrambi
i casi, la gravità della malattia dipende dalla percentuale di
fattore coagulante presente nel sangue del paziente.
In Europa le
persone con Emofilia A e B sono oltre 32mila, in Italia secondo un
rapporto dell'Istituto Superiore di Sanità nel 2022 si sono
verificate 9.784 coagulopatie congenite.
I geni che
codificano la sintesi dei fattori della coagulazione VIII e IX sono
situati sul cromosoma X. Negli emofilitici questo cromosoma viene
identificato come Xe. Nelle donne portatrici di un cromosoma Xe,
l’altro cromosoma X compensa la produzione di fattori VIII o IX.
Poiché non esistono geni per i fattori della coagulazione sul
cromosoma Y, i maschi non possono beneficiare di tale compensazione e
rappresentano quindi il maggior numero di persone colpite da questa
patologia.
E' molto
raro che una donna sia emofilica, perché ciò accada il padre deve
essere affetto da emofilia e la madre portatrice sana. Le donne
portatrici presentano livelli di fattore della coagulazione molto
bassi e hanno una emofilia lieve.
Nelle
famiglie in cui sono presenti casi di emofilia è possibile
sottoporre le donne all’analisi del DNA con un normale prelievo di
sangue per stabilire se siano portatrici. È anche possibile
effettuare la diagnosi prenatale nelle gravidanze a rischio.
Tra le
manifestazioni più frequenti ci sono i sanguinamenti a livello
articolare (ginocchia, gomiti, caviglie), anche nella prima infanzia,
ed ematomi a carico della muscolatura degli arti.
Questi
segnali di una imminente emorragia devono mettere in guardia i
genitori, all'inizio si presentano come una tumefazione dolorosa e il
bambino si rifiuta di muovere il braccio o la gamba.
Sino a
qualche anno fa per curare l'emofilia si faceva unicamente ricorso a
delle trasfusioni di sangue, con scadenze sempre più frequenti.
Oggi, con i
farmaci biologici e la produzione in laboratorio di proteine
sintetiche, il trattamento terapeutico dell'emofilia si è evoluto
con la somministrazione di quel fattore coagulante che l'emofilico
non è in grado di produrre.
Di queste
innovazioni si è parlato in occasione dell'ultima Giornata mondiale
dell’emofilia (17 aprile) nell’ambito del convegno “Io conto!
La necessità di un Registro di dati sanitari, fondamentale strumento
di conoscenza e di programmazione per la cura delle Malattie
Emorragiche Congenite (MEC)”.
La raccolta
in un Registro di questi dati epidemiologici, reali e aggiornati, è
lo strumento indispensabile per garantire una programmazione
sanitaria efficace ai pazienti emofilici, con dei piani
diagnostico-terapeutici-assistenziali uguali in tutte le Regioni.
“Al
momento i dati dei pazienti emofilici vengono trasmessi all’Istituto
Superiore di Sanità (ISS) in forma anonima e con cadenza annuale -
fa presente Rita Carlotta Santoro, presidente dell'Associazione
Italiana Centri per l'Emofilia (AICE) - dai nostri Centri e dalle
Regioni, ma con modalità diverse, quindi difficili da utilizzare a
scopo epidemiologico”.
“È
evidente che i dati raccolti in maniera omogenea su un unico Registro
- conclude Romano Arcieri dell'ISS - si rileverà una fonte preziosa
per rispondere alle nuove esigenze e ai nuovi scenari di gestione
sanitaria, con tecnologie come la telemedicina per il monitoraggio a
distanza delle condizioni cliniche del paziente, secondo criteri che
garantiscano la continuità assistenziale e terapeutica”.
Giancarlo
Sansoni